Recensione - "Quel giorno sulla Luna", O. Fallaci
Quel giorno sulla Luna di Oriana Fallaci (edito da Rizzoli, per la collana BUR su licenza speciale per il Corriere della Sera, 2015) è una voce in diretta che ci racconta dello sbarco sulla Luna al di fuori di ogni idealizzazione, sebbene resti focale il suo vivo interesse per la scienza, la storia e la letteratura. Sì perché ancor prima che sullo scacchiere internazionale - la Russia col suo Luna 15 e l’America col suo Saturno V ndr. - si contendessero il primato, Jules Verne nel suo libro “Dalla Terra alla Luna” aveva già previsto tutto.
“Columbia
è il nome dell’astronave descritta da Jules Verne. Ma nessuno ha rilevato
questo particolare. […] E allora ricordiamocelo noi che Verne descrisse il
viaggio alla Luna oltre un secolo fa e ce lo descrisse più o meno come sta
avvenendo questo giorno di luglio 1969. La sua astronave partiva proprio da
qui, dalla Florida. E mi sembra che partisse proprio un giorno di luglio, senza
dubbio d’estate. Con tre uomini a bordo. E il razzo era fatto proprio come il
razzo Saturno, in larghezza e altezza, e il tempo per arrivare alla Luna era
quello che impiegherà l’Apollo 11, con lo scarto di due o tre minuti”.
Quel giorno sulla Luna, imparentato a un altro libro dell’Oriana “Se il Sole muore” del 1965, descrive attraverso il filtro di quell’umanità perforante che contraddistingueva la Fallaci, la personalità dei tre astronauti previsti per la missione lunare, ben lontani dall’aurea eroica cui il mondo intero li ha poi investiti: un Neil Alden Armstrong asettico ai sentimenti, un Buzz Aldrin “troppo presuntuoso” e “il meglio dei tre, il più umano e il più innocuo” Michael Collins. Quest’ultimo viaggerà in solitaria lungo l’orbita lunare, mentre Armstrong e Buzz saltelleranno su quel pavimento “grigio cinereo” a un sesto di gravità.
“Quando
fra cento anni o duecento o mille o duemila celebreremo lo sbarco sulla Luna,
faremo bene a ricordarci che i primi due uomini sopra la Luna furono due uomini
che avevano ucciso un mucchio di uomini in guerra”.
È umanamente dissacrante l’Oriana. E il concetto di eroe trasmuta: etimologicamente il termine eroe indica l’Uomo illustre, fuor del comune, per valore e per straordinarie imprese di guerra; invece Oriana pone in evidenza lungo tutte le interviste il modo in cui, con totale incoscienza, il concetto di eroe e successo vengono fraintesi, sicché il primo completamente dimenticato.
Tuttavia, è anche vero che il romanticismo non può né deve essere una prerogativa dell’astronauta, al quale persino il sonno è automatizzato: per Armstrong è “tecnicamente indispensabile”, Buzz preferirebbe essere in Vietnam piuttosto che allunare se ha da combattere i “suoi nemici”. Ma Oriana è nata sotto le bombe e sotto le bombe c’ha vissuto.
La Fallaci svela i retroscena di questo avvenimento storico, spiegando non soltanto la valenza scientifica e tecnologica dell'impresa, ma anche l’enorme portata politica e militare che la missione lunare comportava.
Il 12 settembre del 1962, il presidente John Kennedy lancia una sfida “We go to the Moon” dice, e ancora “in this decade and do the other things, not because they are easy, but because they are hard”. Sicché l’America supera il suo momento di impasse storico e sulla Luna ci sbarca, il 20 luglio 1969.
È un peccato che l’Oriana non si sia soffermata maggiormente sul momento che ha preceduto l’allunaggio, quando il punto previsto per l’atterraggio sfila via e Armstrong guida il LEM senza pilota automatico. Un momento delicatissimo dunque, in cui l’intera missione corse seriamente il rischio di essere annullata. Persino il polso del gelido Armstrong sbalzò da 90 a 156. Sono certa che nessuno più di Oriana avrebbe saputo descrivere meglio quel momento pericoloso.
“Dio ci vorebbe
Omero per descrivere quello che vedo! Dio, a volte gli uomini sono così belli!
Sentilo, il rombo! Sembra un bombardamento, ma non ammazza nessuno, mioddio!
Oh, che cosa stupenda si alza così lentamente, sai lentamente … va sulla Luna …
la Luna … Vorrei che oggi nessuno morisse”.
Non era una Donna che dimenticava l’Oriana, bensì scriveva per ricordare, per testimoniare. Ricordare che il padre del razzo Saturno fu l’ex nazista Von Braun, padre dei missili V1 e V2 che rasero al suolo Londra e per ricordare, nello stesso modo e con la stessa intensità, l’instancabile determinazione di tutti quei tecnici, scienziati, ingegneri, informatici che hanno contribuito a tirar su nel cielo la stella Saturno.
Cape Kennedy, Florida, 20 luglio 1969.
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